F.Fubini: I voti "scomparsi" degli espatriati che potrebbero frenare l'Europa sovranista

MILANO\ aise\ – “Un mese fa Viktor Orbán ha nazionalizzato sei cliniche per la fecondazione artificiale dichiarandole “strategiche”: poiché già un decimo degli ungheresi ha lasciato il Paese, per il leader di Budapest sostenere le nascite diventa vitale. Giorni fa anche Andrej Plenkovi, premier croato, ha iniziato il proprio turno di presidenza dell’Unione europea sostenendo che lo spopolamento è ormai un problema “esistenziale”. Il calo delle nascite e il flusso dei giovani verso i Paesi a reddito più alto fanno sì che nel 2018 in dieci dei 28 Paesi della Ue la popolazione sia diminuita. Fra questi Ungheria e Croazia, Grecia e Italia“. parte da queste premesse Federico Fubini, che, dalle pagine on line del Corriere della Sera, ritiene i voti “scomparsi” degli expat uno strumento per frenare la deriva sovranista dell’Europa.
L’integrazione
L’Europa ha in sé quella che Alberto Alemanno, un giurista dell’Hec di Parigi, descrive come la ventinovesima nazione: ufficialmente 17 milioni di persone, in realtà di più, vivono in un Paese europeo diverso da quello di nascita. È il doppio rispetto a dieci anni fa. È segno dell’integrazione europea, che tante persone possano andare dove sono in grado di realizzarsi. È anche un fenomeno che dà luogo alla soppressione, a volte per niente casuale, del voto di milioni di cittadini nel cuore delle democrazie più evolute al mondo. L’affluenza alle elezioni delle nuove diaspore ungheresi, polacche, greche o italiane è minima rispetto alle rispettive medie nazionali, perché per quelle votare è arduo: i seggi — per lo più in ambasciate o consolati — sono pochi, spesso lontani e richiedono ore di coda per depositare la scheda nell’urna. I giovani migranti molte volte rinunciano, come emerge dai dati del voto di italiani, greci, ungheresi e polacchi. Ma è proprio la loro assenza che avvantaggia i partiti sovranisti. L’Europa, in questo, non sta inventando niente. La soppressione del voto si è affacciata in America fra il 1885 e il 1908, quando dodici stati federali del sud cambiarono le regole per rendere complicato il voto dei neri. Anche Orbán quando è tornato al potere nel 2010 ha modificato una legge per includere alcuni ma, di fatto, escludere altri dal voto. Concesse cittadinanza e suffragio alle centinaia di migliaia di ungheresi etnici nati e vissuti in Romania o in Serbia. A loro, da sempre sensibili ai temi del nazionalismo magiaro, è permesso di votare per posta da casa e lo fanno in percentuali persino più alte del tasso nazionale di partecipazione che è di circa due terzi: loro votano Orbán al 96%.
Un sistema a ostacoli
Ai 345 mila elettori ungheresi emigrati in Germania, Italia o nel resto d’Europa (5% del corpo elettorale) si applicano invece regole diverse. Devono viaggiare fino a un’ambasciata o, solo a volte, a un consolato. C’è un seggio ogni 9 mila persone in Irlanda e uno per 8.800 elettori a Londra, per esempio. L’affluenza di questi ungheresi è di conseguenza bassissima – 15% in genere, 6% in Germania — ma a Orbán va bene così: fra loro alle Europee lui ha preso l’11% meno che la media nazionale, l’opposizione centrista e pro-europea di Momentum il 20% in più. In Italia l’effetto è lo stesso, anche se nessuno ha mai scelto di scoraggiare dal voto le centinaia di migliaia di giovani che vivono a Londra o a Francoforte. Alle Europee l’affluenza della diaspora italiana nel resto d’Europa è stata del 7% (contro il 54% in media nazionale), alle politiche del 30% (contro il 73%). In Gran Bretagna la Lega ha preso appena l’11%, mentre tutti i partiti europeisti il doppio o il triplo dei loro risultati nazionali. Se la diaspora italiana fosse andata alle urne tanto quanto gli italiani in patria, con queste preferenze, il ritardo delle forze europeiste di centrosinistra (Pd, Più Europa, Verdi) sui sovranisti (Lega e FdI) si sarebbe ridotto dell’1,5% nel risultato nazionale complessivo delle Europee.
L’alta astensione
In Polonia alle politiche di ottobre scorso poi manca all’appello più di un milione di voti della diaspora, dove l’opposizione europeista di Coalizione civica stravince. Se i migranti avessero votato tanto quanto gli altri polacchi, la vittoria dei sovranisti di Legge e giustizia si sarebbe ristretta dell’1,2%. E in Grecia un anno fa l’allora premier Alexis Tsipras ha scrupolosamente evitato di varare una riforma che facilitasse il voto per mezzo milione di giovani fuggiti in Europa durante la crisi: li ha tenuti lontani dalle urne perché prevedeva, correttamente, che fra loro avrebbe perso male. Così l’Europa è andata avanti, ma le regole del voto sono rimaste indietro. E non tutti hanno fretta di rimetterle al passo con i tempi”. (aise)

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