L’Ue sotto la lente, trasmissione webradio di Radio Mir, ha chiesto a Monica Frassoni, presidente di European Alliance to Save Energy, e ad Alessio Giussani, editor del Green European Journal, cosa ne è del Green Deal nel dopo elezioni europee.
di Valeria Camia (Radio Mir, Bruxelles)
Non si è trattata di una debacle generale, quella dei Verdi alle elezioni europee del 9 giugno scorso. Certo il risultato è stato amaro in particolare in Francia con Les Écologistes – Europe Ecologie Les Verts fermi al 5.5%, e in Germania, dove il partito Die Grünen ha perso 12 seggi. Altrove però il vento è stato più positivo.
In Italia, per la prima volta dopo 15 anni, è tornata la presenza ecologista. I verdi hanno fatto bene anche in Olanda (con GroenLinks) e in Danimarca (qui il partito Socialistisk Folkeparti ha conquistato per la prima volta la prima posizione nel paese).
E vale la pena di citare anche la Croazia, che ha ottenuto il suo primo parlamentare europeo nella lista del Gruppo dei Verdi. Insomma, sebbene i partiti green abbiano perso rappresentanza nel Parlamento europeo rispetto al 2019, in confronto al mandato precedente sono più rappresentativi della diversità dell’Unione Europea.
Dunque che lezione trarne? «Nei paesi in cui i verdi sono parte della coalizione di governo, come in Germania, Austria o Belgio, gli elettori li hanno puniti. Negoziare le politiche climatiche con altre forze della maggioranza, che non sono disposte a mettere sul piatto le risorse economiche necessarie per renderle socialmente desiderabili, alimenta la reazione degli elettori contro le politiche verdi» sottolinea Alessio Giussani, editor del Green European Journal (un magazine indipendente della Green European Foundation).
C’è poi stato, come chiarisce Monica Frassoni, presidente di European Alliance to Save Energy, un attacco politico e mediatico, guidato da danarose lobby fossili, sul Green Deal e in generale sui cambiamenti climatici con una discussione fondamentalmente disinformata e populista, «strumentalizzata da alcuni partiti di destra, facilitata dal fatto che i partiti progressisti che non hanno fatto dell’ambiente una vera battaglia politica, tranne che in alcuni casi.
Possiamo temere l’affossamento del Green Deal, ora nel post-elezioni europee? «No, il Green Deal non è morto e penso sia difficile tornare indietro» ne è convinta Monica Frassoni, anche perchè diverse normative legate al Patto verde europeo sono state già adottate e ora gli stati membri le devono applicare. «Il rischio dunque – afferma Frassoni – è legato alla mala-applicazione, alla riduzione ancora maggiore delle ambizioni del Green Deal e a una competizione sulle risorse per cui vengono finanziate delle tecnologie che ci fanno perdere tempo. Oggi investire sul nucleare, tanto per fare un esempio, ci fa perdere tempo. E questo tempo noi non ce l’abbiamo più»!
Una posizione, questa, condivisa anche da Alessio Giussani: «Con il Green Deal le politiche climatiche sono uscite dai circoli dell’attivismo per diventate il centro del dibattito politico. Allo stesso tempo, il Piano verde europeo è stato partorito da una Commissione guidata da un partito di centrodrestra, il PPE, e riflette quell’ideologia: le politiche del Green Deal erano viste come un’opportunità di crescita economica più che di inclusione sociale e sostenibilità ambientale. Il rischio è che il Green Deal venga trascinato in avanti ma senza la volontà e la convinzione politica di renderlo socialmente sostenibile e desiderabile per le persone».
Tutti contro il Green Deal: quali le forse in gioco? Presentato al pubblico con la promessa di decenni di crescita verde, quando questi vantaggi economici di crescita hanno incontrato delle difficoltà oggettive (dalla pandemia Covid-19, alla crisi del costo della vita, alla guerra in Ucraina), ha preso “quota” una potente e persuasiva contro-narrativa propagandistica: potente perchè sostenuta da diverse lobby fossili, e persuasiva perchè la paura di cambiare si è unita a una già di fondo poca convinzione della causa verde.
«Le lobby fossili – sottolinea Frassoni – sono delle lobby ricchissime, da sempre ben connesse con amministrazioni nazionali e con il potere politico. È chiaro che hanno paura di sparire e quindi “comprano tempo”. Pensiamo a tutta la propaganda intorno alle case verdi o alle proteste degli agricoltori con i trattori, per esempio: se andiamo a vedere “dietro” le dimostrazioni e guardiamo alla sostanza, ci si rende conto che le rivendicazioni di questi attori sono basate molto spesso su precisi interessi e su una totale mistificazione della realtà. Insomma, con l’entrata in vigore delle direttive delle case verdi nessuno verrà a prenderci casa…ma questo era quanto la propaganda contraria alle direttive sosteneva e sostiene».
Evidentemente c’è anche una mancanza di convinzione e di mala-informazione che ha portato sezioni della popolazione a ritenere che le politiche verdi siano elitarie, a beneficio di coloro che sono già ricchi o che si possono permettere di sostituire per esempio il sistema di riscaldamento domestico a proprie spese… «È proprio quello che è successo in Germania, dove ci sono state grosse discussioni. Oppure a Bruxelles, invasa nei mesi scorsi dai trattori» ricorda Giussani.
Ma quella degli agricoltori è anche un esempio di come le concessioni fatte a fronte delle rimostranze di questo settore – dietro al quale ci stanno importanti lobby – non vadano nella direzione della tutela di chi lavora in campo agricolo e non affrontino il problema delle relazioni commerciali tra l’Ue e i paesi terzi. «Sono propro i lavoratori nel campo agricolo – continua l’editor del Green European Journal – a essere maggiormenti esposti agli eventi climatici estremi, oppure all’uso diffuso di fertilizzanti chimici.
Dunque, non è cercando di disfarsi di quello che il Green Deal ha previsto (penso alla strategia Farm to Fork) che si va a tutelare nel lungo termine gli agricoltori. Piuttosto è necessario che le forze progressiste spingano per politiche verdi che promuovono la giustizia sociale e climatica». Gli agricoltori, sottolinea Giussani, si aiutano bloccando accordi commerciali neoliberisti come quello con i paesi del MERCOSUR, che permettono di inondare l’Europa con prodotti a basso prezzo e dagli standard ambientali bassi, o contrastando il potere negoziale delle grandi catene di distribuzione e dei supermercati nella contrattazione dei prezzi a discapito dei produttori locali.
Da dove ripartire, allora? Si tratta di mettere in luce best practices, buoni esempi, di collaborazioni tra multinazionali e rappresentanti della società civile, come proprio l’esperienza di European Alliance to Save Energy, presieduta da Monica Frassoni, mostra – e come viene sottolineato anche in un recente appello firmato da più di 400 grosse e medie imprese e associazioni per chiedere ai nuovi eletti del Parlamento europeo di continuare con il Green Deal.
Il terreno è fertile: per le cittadine e ai cittadini europei, il clima è al top delle proccupazioni. «Direi che è cruciale discutere di quale tipo di azione climatica vada portata avanti. Ovviamente tutti possiamo essere d’accordo sul fatto che il cambiamento climatico esiste; c’è un accordo di base che bisogna fare qualcosa, ma il punto principale è come bisogna agire. Direi che i risultati di queste passate elezioni europee ci dicono, chiaramente, che le persone in Europa vogliono una transizione ecologica i cui costi e benefici siano distribuiti in maniera equa» conclude Giussani.
E questo va comunicato bene.