“Ho raccolto i cadaveri a Cutro, ora non riesco più a pescare in mare”

“Era buio, faceva cattivo tempo, il mare era grosso. Dalla jeep non si vedeva ancora niente, ad un tratto mi sembra di sentire delle voci, delle grida. Penso che vengano dall’autoradio, controllo, ma è spenta. Poi, alla luce dei fanali, comincio a distinguere qualcosa che ingombra la spiaggia. Non si vede bene che cosa, sembrano dei corpi, lo dico ad Antonio che è seduto al mio fianco. Lui mi risponde: ma no, saranno legni. Invece erano proprio cadaveri, sparsi dappertutto. È cominciato così questo incubo tremendo, dal quale ancora non riesco a riprendermi”.

 

Vincenzo Luciano sul luogo del naufragio

Sulla jeep di Vincenzo verso il luogo del naufragio

Vincenzo Luciano ha 51 anni, vive con la moglie a Steccato, frazione marina di Cutro, provincia di Crotone. Fa il pescatore, però da quella mattina maledetta del 26 febbraio – quando il barcone pieno di migranti si frantumò davanti alla spiaggia, facendo strage di esseri umani (almeno 94, il numero esatto forse non lo sapremo mai) – Vincenzo a pescare non è più andato. “Ancora non ce la faccio – dice – ho troppa angoscia. Non auguro a nessuno di vedere le scene che ho visto io”. È stato lui, insieme all’amico e collega pescatore Antonio Grazioso, che di anni ne ha 40, il primo a trovarsele davanti, quelle scene, mentre la tragedia consumava i suoi momenti più orribili. “Io e Antonio andavamo tutte le mattine in quella zona, per uscire a pesca in mare. Oppure a riva con le gabbiette per le seppie, se il mare era troppo brutto. Sveglia alle 5, colazione e via, tutti i giorni. Monta sull’auto, che ti porto dove è successo”.

Salgo sulla jeep e Vincenzo continua a raccontare: “Sono passati più di due mesi, ma io non smetto di andare su è giù per questo tratto di spiaggia, spero sempre che il mare restituisca altri corpi, per potergli dare una sepoltura. Nei primi giorni andavo insieme agli agenti della guardia di finanza, ne abbiamo recuperati cinque, poi ho continuato da solo. Vedi questo sacco nero che tengo in auto? È un sacco per i cadaveri: l’ultimo l’ho trovato due settimane fa. Ne mancano ancora almeno sette, secondo le testimonianze dei superstiti. Una donna afghana, che è sopravvissuta, mi ha implorato di cercare suo figlio. Sono cose che spezzano il cuore”. Arriviamo sul luogo della tragedia, vicino alla foce del fiume Tacina, che fa da confine tra le province di Crotone e di Catanzaro. “Quel mattino – ricorda Vincenzo – sul fiume c’era una barca. Erano due ragazzi, si sono spaventati, sono scappati”.

Sulla sabbia, nei dintorni, ci sono ancora rottami del barcone della morte, scarpe, giubbotti. Scendiamo dalla jeep, Vincenzo guarda il mare e mi indica un punto: “Qui davanti c’è una secca, la carretta già malandata dei migranti c’è finita contro, è andata in frantumi. È stata una strage orribile, c’erano corpi incastrati in pezzi di legno”. Mi fa vedere qualche fotografia, sembra un film dell’orrore, invece è la realtà. La cosa che più lo fa disperare è non essere riuscito a salvare neanche una vita: “Quando siamo arrivati, io e Antonio abbiamo agito d’istinto, ci siamo buttati. Subito sono riuscito ad afferrare un bambino, respirava ancora, ma c’erano onde alte due o tre metri, una mi ha scaraventato lontano. Non so come, ho ripreso il bambino e l’ho portato a riva, ma era troppo tardi, questa volta non respirava più. Cercavo di rianimarlo, Antonio mi ha gridato: è morto, vieni che in mare ce ne sono tanti altri. Sappiamo nuotare bene, ne abbiamo tirati fuori tredici, ma nessuno vivo. Ero esausto, Antonio continuava a buttarsi, a dirmi di non mollare. I primi soccorsi sono arrivati dopo circa mezzora, anche loro hanno recuperato solo corpi di persone già morte”.

 

 

I resti del barcone

“Ci sono stati troppi ritardi, molti si potevano salvare”

È questo il magone che Vincenzo non riesce a mandare giù. Fino al paradosso di sentirsi in colpa, proprio lui che ha fatto tutto ciò che poteva, a proprio (e non piccolo) rischio. “Sono ossessionato dall’idea che, se arrivavo dieci minuti prima, avrei potuto salvare qualcuno. Magari bastava che facessi colazione più rapidamente, che non prendessi il caffè. Per giorni non sono riuscito a mangiare, a dormire”. Non è una consolazione l’improvvisa notorietà che gli è piombata addosso: “Ne avrei fatto volentieri a meno. Sono venuti a intervistarmi giornali e televisioni, adesso mi hanno anche invitato ad andare in Francia. Penso che non andrò, non mi sento un eroe, non cerco parole di elogio o medaglie. Anzi, fammi dire una cosa: ad altri, per questa storia, ne sono state distribuite già troppe, e a sproposito”. Il tono della voce di Vincenzo da accorato diventa indignato. “Secondo me, a molte delle autorità che sono venute qui frega poco di quello che è accaduto, e meno ancora di chiarire perché è accaduto. A parte il presidente Mattarella, che è arrivato subito, l’unico che ha dimostrato una partecipazione sincera e seria”.

Però sono venuti anche il capo del governo, i ministri, poi hanno fatto un provvedimento sui migranti, detto “Decreto Cutro”, che ha suscitato parecchie polemiche. “Hanno fatto passerella. A me non interessano le polemiche politiche. Mi interessa la verità e la verità è che questa tragedia poteva essere evitata. C’è stata una grave sottovalutazione. Io sono un uomo di mare, ti dico che bastava intervenire in tempo utile per il salvataggio”. E quando sarebbe stato il tempo utile? “L’imbarcazione dei migranti è stata segnalata diverse ore prima del naufragio, la situazione del mare era diversa. La guardia di finanza è uscita, non l’ha trovata, dice di avere avvisato la guardia costiera. La guardia costiera, che ha i mezzi adatti per intervenire anche con il mare grosso, dice non aver saputo nulla. C’è uno scaricabarile, nessuno si assume le responsabilità. Non sono io a dover dire di chi sono le responsabilità, c’è una inchiesta della magistratura. Però, sinceramente, non sono molto fiducioso. Sarebbe una vergogna se non ci fosse giustizia per tutti quei poveri morti.”

 

Il monumento davanti al Comune

Un monumento nel segno della solidarietà

Sette di quei poveri morti sono tumulati nel cimitero di Cutro, ove è stata appositamente ricavata un’area per il rito musulmano. Sono invece dieci i superstiti che sono rimasti sul territorio crotonese, inseriti in un progetto Sai (Sistema accoglienza integrazione). Alle vittime del naufragio, il consiglio comunale di Cutro ha dedicato un monumento e una stele. Il monumento è stato inaugurato sabato scorso, davanti al Municipio.

E’ un dono dello scultore Antonio Tropiano: “Simboleggia la solidarietà ai tanti migranti costretti a scappare dai propri Paesi per la follia delle guerre, o per i cambiamenti climatici – spiega l’autore – In particolare, rappresenta lo spirito solidaristico del popolo calabrese, che già nell’antichità era conosciuto per la sua filoxenia, parola greca che significa amore per il forestiero”. La stele è stata invece eretta a Steccato, poco fuori dalla spiaggia, in memoria delle vittime del naufragio. L’epigrafe ne attribuisce la causa a “trafficanti e scafisti senza scrupoli”. Ma non va dimenticato che ci sono altre, più delicate responsabilità. Quelle che sarebbe una vergogna se fossero dimenticate. Come dice Vincenzo Luciano, semplice pescatore, che di sicuro non dimenticherà mai.

 

FONTE: https://www.strisciarossa.it/ho-raccolto-i-cadaveri-di-cutro-ora-non-riesco-piu-a-pescare-in-mare/