Se manca un orizzonte condiviso non c’è campo largo che tenga

di Luca Maria Esposito

Le tappe della lunga marcia verso le elezioni europee di giugno stanno delineando una situazione politica italiana molto deprimente e stanno anche facendoci scoprire i veri interessi degli attori politici che si muovono sulla scena. Deprimente perché sia alle elezioni regionali in Sardegna, che in quelle in Abruzzo, il dato più impressionante emerso dalle urne è la drammatica astensione, con un elettore su due che non è andato a votare.

Segno di un completo disallineamento della politica e dei partiti dalla società e dalla vita reale delle persone, che hanno ormai perso fiducia nello strumento democratico per eccellenza. Tradimenti politici e ideologici continui, governi calati dall’alto, interessi particolari che dominano sul bene pubblico, servizi pubblici sempre più scadenti, frammentazione dei corpi intermedi, stanno creando un abisso tra la gente e la politica.

Un abisso che non è frutto di una naturale crisi della democrazia, ma di una precisa strategia di classi dirigenti, che solo in un contesto di bassa affluenza possono far pesare il controllo esercitato su più o meno consistenti pacchetti di voti e piccole sacche di potere locali, altrimenti ininfluenti.

E così, sempre meno persone vanno a votare, forse anche credendo che questo delegittimizzi la classe dirigente e le tolga potere, mentre al contrario fanno esattamente il suo gioco. In questo circolo vizioso, a prevalere sono soprattutto le destre. Rappresentando gli interessi delle classi dominanti, le destre sanno infatti di avere il sostegno di un nucleo consapevole, influente e ricco di mezzi, e il compito dei partiti di destra è dunque solo quello di attrarre verso gli interessi delle classi dominanti quanti più voti possibili da una massa di lavoratori sempre più frastornata e soggiogata da decenni di violentissima guerra di classe.

Per farlo, mascherano l’ideologia delle classi dominanti sotto il velo di una narrativa nazional-popolare, con l’obiettivo di scatenare una costante guerra tra poveri e sostenere gli interessi di bottega di alcune fette della popolazione a discapito di altre. Alimentando ancor di più divisioni, ingiustizie e disagio sociale e, allo stesso tempo, scardinando dall’interno il sistema dei diritti sociali e l’equilibrio dei poteri su cui si basa l’intero impianto istituzionale.

Il problema più grande, in questo contesto, è che ormai da decenni è la stessa sinistra ad essere finita vittima della retorica delle classi dominanti e si è fatta essa stessa promotrice dell’ideologia della destra in ambito sociale ed economico, contribuendo a smantellare i diritti delle persone migranti, il welfare, l’istruzione, la sanità, l’indipendenza economica dello Stato e persino le tutele sindacali e dei lavoratori.

Se oggi la creazione del cosiddetto campo largo risulta così difficile, molto dovuto è a questo, perché i cittadini che si sono rifugiati nel non voto sono soprattutto quelli delle classi sociali più svantaggiate, che non si fidano più di una sinistra di questo tipo.

Una sfiducia alimentata in primo luogo dal fatto che all’interno del Pd restano molto presenti e influenti tutti quei gruppi fautori delle politiche di cui sopra. Inoltre, dal fatto che il M5s ha tradito molti dei suoi ideali e prodotto una classe dirigente totalmente inaffidabile (basti pensare che il volto più noto del M5s in Abruzzo è passato a Forza Italia e che due degli eurodeputati più in vista del M5s siano passati con Renzi e Calenda).

E in ultimo dalla formazione di un campo largo in cui si continuano ad includere forze politiche come quella di Carlo Calenda e Matteo Renzi che palesemente non sono di sinistra, anzi. Guarda caso, quando questo non è stato, come in Sardegna, il campo largo è riuscito a spuntarla, seppur per una manciata di voti, mentre in Abruzzo, dove Calenda era incluso nella coalizione, la sconfitta è stata netta. In Basilicata, la prossima regione che andrà al voto, in aprile, la formazione delle coalizioni sta quantomeno scoprendo le carte un po’ più chiaramente, con Renzi e poi anche Calenda, che hanno dato il proprio sostegno al governatore uscente di destra Vito Bardi. Pd, 5 Stelle e Verdi-Sinistra potranno dunque affrontare le urne senza questa zavorra e avere qualche speranza di farcela. In Piemonte, però, dove le elezioni saranno ad inizio giugno, poco prima delle Europee, la coalizione di sinistra è già spaccata e, a quanto pare, lo resterà. Ma più che le alchimie politiche, se davvero si vuole tentare di arrestare la deriva pseudo-fascista verso cui sta scivolando il Paese e creare un fronte di resistenza, la vera questione da affrontare è quella ideologica.

Pd e 5 Stelle non riescono infatti a riportare al voto le fasce più disagiate della popolazione o la maggior parte degli elettori di sinistra, perché ciò che manca sono scelte politiche e ideologiche coraggiose e precise, le uniche possibili per rivoluzionare il panorama politico, risollevare la spina dorsale della nazione e smascherare la narrativa e il ruolo della destra di cane da guardia degli interessi, anche internazionali, della classe dominante capitalista che, come la storia insegna, non ha scrupoli a servirsi anche dei fascisti quando teme di perdere il suo potere.

 

FONTE: Emi-News