Annamaria Rivera: “L’asse di una strategia migranticida”

Come definire un decreto legge che si propone apertamente di sabotare il salvataggio in mare delle persone? Se poi quelle persone sono decise ad attraversare più di un inferno pur di cercare una vita migliore, a rischiare di affogare con i propri figli pur di sfuggire a persecuzioni, guerre, desertificazioni, carestie e altre tragedie, non dovrebbe esser poi così difficile trovare, nell’ambito delle espressioni che associano la politica alla morte, una definizione calzante quanto tremenda. Quel che sembra più importante sottolineare, tuttavia, come fa puntualmente anche qui Annamaria Rivera, è che quella legge si configura come un nuovo cardine, il più recente asse di una consolidata strategia migranticida. Intendiamoci, la criminalizzazione della solidarietà, che segue quella della “irregolarità” considerata reato, non nasce certo con il governo più di destra che si sia visto in Italia. Però con il decreto Meloni-Piantedosi, da convertire in legge entro il 3 marzo, si potrebbe cominciare a tentare di spostare ulteriormente, soprattutto laddove si evidenzi l’assoluta irrilevanza di opposizione politica, gli equilibri del sovra-nazionalismo europeo in relazione allo sterminio che si consuma nel Mediterraneo. Non è difficile immaginare, con questa prospettiva, la centralità che dovrebbe tornare ad acquisire al più presto, nei movimenti e nella società, la lotta contro il razzismo, l’esternalizzazione delle frontiere e la strategia migranticida che ne consegue.

 

di Annamaria Rivera

È iniziata da ben prima dell’insediamento dell’attuale governo fascistoide la delegittimazione istituzionale, se non criminalizzazione, non solo delle Ong che praticano ricerca e soccorso in mare, ma perfino di chiunque, sia pure individualmente, compia atti di solidarietà verso persone profughe.

Ricordo che la campagna contro le Ong fu inaugurata da Frontex, l’Agenzia europea per le frontiere esterne, che già a dicembre del 2016 accusava le organizzazioni umanitarie che operano nel Mediterraneo di colludere con i trafficanti di esseri umani e di costituire per i/le migranti un fattore di attrazione che li/le invoglierebbe a emigrare.

Essa è proseguita in Italia con campagne diffamatorie, denunce, processi: una strategia denigratoria legittimata, tra gli altri, da Luigi Di Maio, che, com’è noto, nel 2017, in un post su Facebook, definì “taxi del mare” le navi delle Ong. È indubbio che tali ignobili esempi dall’alto non facciano poi che incoraggiare e legittimare intolleranza e razzismo “dal basso” (per così dire).

Dunque c’era da aspettarsi che il governo più di destra della storia repubblicana desse un contributo rilevante alla guerra contro le Ong impegnate nel soccorso in mare. Infatti, è ciò che è accaduto con il decreto-legge del 2 gennaio 2023, “Disposizioni urgenti per la gestione dei flussi migratori”, detto Meloni-Piantedosi, in realtà firmato anche dai ministri Nordio, Salvini, Tajani e Crosetto, nonché dal Presidente della Repubblica Mattarella: un decreto finalizzato apertamente a ostacolare in ogni modo l’operatività delle navi delle Ong.

Com’è noto, il decreto impone alle navi delle Ong di far sbarcare immediatamente le persone soccorse e in tal modo impedisce loro di compiere ulteriori salvataggi o d’intervenire sollecitamente in caso di altre segnalazioni di pericolo.

Infatti, come i casi più recenti dimostrano, ormai, grazie al decreto, per lo sbarco non si sceglie «il posto sicuro più vicino» e raggiungibile nel minor tempo possibile, ma qualche approdo che richiede molti giorni di navigazione. Inoltre, il comandante della nave è obbligato ad appurare chi fra le persone naufraghe tratte in salvo abbia intenzione di chiedere la protezione internazionale: il che significa che la presentazione della domanda debba essere fatta direttamente sulla nave, così che l’obbligo di esaminarla spetti allo «Stato di bandiera» dell’unità di soccorso.

È una procedura più volte rigettata poiché, secondo l’Unione Europea e il regolamento Dublino III, «quando la nave si trova in acque internazionali non si possono presentare richieste di asilo perché esse vanno formalizzate dalle autorità nazionali preposte, alla frontiera e nel territorio dello Stato inteso in senso stretto comprese le acque territoriali».

Infine, secondo il decreto, se l’Ong impegnata nel soccorso in mare violasse tali regole infami, i responsabili della nave sarebbero sottoposti a una multa fino a 50mila euro.

Insomma, la gran parte del decreto Meloni-Piantedosi è in aperto contrasto con il diritto internazionale e con le Convenzioni a cui l’Italia ha aderito, a cominciare da quella di Ginevra del 1951 sui diritti dei rifugiati e da quella europea sui diritti umani.

Come ben sappiamo, il Mediterraneo è ormai divenuto un vasto cimitero acquatico e il Canale di Sicilia ha guadagnato il sinistro primato di confine più letale al mondo.

A un tale primato hanno contribuito non solo la guerra contro le Ong, ma anche la sostituzione della missione Mare Nostrum, destinata al salvataggio di vite umane, con quella denominata Triton, finalizzata al controllo e alla protezione delle frontiere.

Oggi siamo al tempo in cui neppure il cadavere di un bambino riverso su una spiaggia riesce a commuovere e a sollecitare la pietas collettiva, come invece accadde a settembre del 2015, allorché fu diffusa l’immagine del piccolo Ālān Kurdî, morto esattamente di tanatopolitica: era figlio di due esuli curdo-siriani, in fuga dall’Isis e dalla guerra civile, dunque più che meritevoli di asilo.

Per citare un caso esemplare, ricordo che l’11 ottobre del 2013 annegarono ben 268 profughi/e, dei quali almeno 60 bambini e un gran numero di donne in fuga da Aleppo e da altre città siriane. Dopo l’affondamento del loro barcone, mitragliato da una motovedetta libica, i 480 profughi siriani attesero vanamente per cinque ore, mentre Malta e l’Italia si rimpallavano la responsabilità dell’intervento per soccorrerli. Un tale reato, sebbene così grave, poi sarebbe stato prescritto.

Attualmente, con il governo guidato da Meloni, si è compiuto un salto di qualità foriero di svolte autoritarie, nonché assai pericoloso per la sorte e per la vita dei profughi e delle profughe, delle persone d’origine immigrata, ma anche dei rom…

Quanto al contributo delle istituzioni italiane alla strage di persone profughe e migranti, va rimarcato che uno dei pilastri è costituito dal Memorandum d’intesa fra la Libia e l’Italia, che in tal modo legittima non solo le stragi nel Mediterraneo, ma anche gli orrori compiuti dalla cosiddetta Guardia costiera libica e quelli che si consumano nei “centri di accoglienza per migranti”, in realtà degli autentici lager.  

Potremmo definirla migranticida, l’attuale strategia adottata dal governo italiano e incoraggiata e/o approvata da talune istituzioni dell’UE. È una strategia che dà la priorità all’esternalizzazione delle frontiere, al blocco delle partenze dalla Libia, alla pretesa di sigillare anche il sud libico stringendo accordi con le peggiori milizie e bande di trafficanti.

Tale è l’ecatombe nel Mediterraneo e talmente palesi le responsabilità dell’Unione europea che forse potremmo azzardarci a definirla genocidio, intendendo quest’ultimo come una forma di eccidio di massa unilaterale, in ragione dell’appartenenza a una certa collettività o categoria umana; o perlomeno considerarla al pari di un crimine contro l’umanità.

Inoltre, sappiamo bene e da lungo tempo che il razzismo ha quasi sempre anche una dimensione istituzionale (Carmichael e Hamilton, 1967). La discriminazione routinaria e la conseguente ineguaglianza strutturale di taluni gruppi e minoranze non sono solo il frutto di pregiudizi e comportamenti intolleranti “spontanei” da parte del gruppo maggioritario, ma sono anche – forse soprattutto – l’esito di leggi, norme, procedure e pratiche messe in atto da istituzioni.

Va precisato che la tendenza esemplificata da provvedimenti quale il decreto Meloni-Piantedosi non è una peculiarità italiana. Quasi ovunque in Europa si legifera in tal senso. In più, l’Unione europea pratica una sorta di sovra-nazionalismo armato, a difesa delle proprie frontiere. E questo non solo è causa principale di una strage di profughi/e di proporzioni mostruose, ma contribuisce anche a legittimare il razzismo “spontaneo”, a incoraggiare i nazionalismi, quindi a favorire il successo delle destre, anche estreme, com’è palese nel caso italiano.

Basta dire che solo nei primi dieci mesi del 2022, tra morti e scomparse, si sono registrate ben 1.800 vittime: un esempio lampante di quella che ho definito strategia migranticida.

La cifra che ho citato dovrebbe essere integrata con quelle relative ai decessi per fame, sete, disidratazione, nonché conseguenti a rapine, aggressioni, sequestri, stupri e torture fino alla morte, inflitti a migranti e rifugiati/e in paesi quali la Libia. Questo accade abitualmente soprattutto nei centri di detenzione libici, veri e propri lager, molti dei quali gestiti dalle milizie, con cui stringe accordi: sono le stesse che gestiscono il traffico dei profughi. Per non dire delle brutalità, anche letali, compiute dalle bande che si aggirano nel deserto tra il Niger, il Mali, il Sudan e la stessa Libia: anche con questi Paesi l’Unione europea e l’Italia sottoscrivono accordi finalizzati all’esternalizzazione delle proprie frontiere, con la pretesa di sigillare anche i cinquemila chilometri di Sahara.

Per concludere: specialmente oggi, al tempo del governo Meloni, occorrerebbe considerare la centralità della lotta contro il razzismo e la strategia migranticida che ne consegue. E aver chiaro che per sconfiggere la destra questo è un tema decisivo.

 

FONTE: https://comune-info.net/lasse-di-una-strategia-migranticida/