“The deadly cost of living”: on line il n.2/2023 di Nuovo Paese, mensile di Filef Australia

Il mortale costo della vita

 

L’aumento del costo della vita non è un fenomeno moderno, ma un’ulteriore fase di sfruttamento nell’ulteriore concentrazione di ricchezza, privilegi e potere.

L’effetto di destabilizzazione sociale derivante dall’aumento dei prezzi di base, come quelli del cibo e dell’energia, è una minaccia tale da spingere i governi a trovare una risposta.

Ha persino portato alcuni degli ultra ricchi illuminati (per interesse personale) a chiedere di essere tassati di più.

Tuttavia, immettere nuovamente denaro, in misura ridotta e a breve termine, nel sistema è un’operazione simbolica che nasconde una disfunzione cronica.

La lotta tra capitale e lavoro nelle società industrializzate aveva prodotto una pace, anche se incompleta, con momenti di tensione nei negoziati sulla distribuzione della ricchezza generata.

Oggi, nonostante la notevole produttività collettiva che ha reso l’umanità più ricca e tecnologicamente più avanzata che mai, la povertà collettiva è in aumento.

Il “libero” mercato funziona – nell’interesse dei ricchi e degli “influenti”!

Il recente rapporto di Oxfam, giustamente intitolato Survival of the Richest, racconta la grossolana e oscena concentrazione della ricchezza.

Ma questa conseguenza è molto più grave del semplice fatto che pochi hanno di più a spese di centinaia di milioni di persone che vivono nella miseria.

Ha dato origine al fenomeno del “capitale inattivo”, il cui scopo principale rimane quello di mantenere il proprio valore e il proprio potere di dominio.

Questo spiega l’insistenza del capitalismo sulla crescita, nel caso delle società in via di sviluppo, e sulla ri-crescita, nel caso delle società avanzate, attraverso situazioni distruttive come le guerre, la devastazione ambientale e l’obsolescenza programmata e il rinnovo dei prodotti.

Nel frattempo i cittadini, soprattutto quelli espulsi o scartati dai mercati del lavoro, sono diventati più sfruttabili in quanto consumatori costretti a pagare oltremodo i beni di prima necessità, non per il loro “costo della produzione”, ma per i profitti.

 

 

 

The deadly cost of living

 

 

Ever increasing living costs are not a modern malaise but another and ulterior exploitative phase in the further concentration of wealth, privilege and power.

The socially destabilising effect from the burden of burgeoning basic costs such as food and energy is enough of a threat that governments are clamouring to appear to be responding.

It has even led to some of the enlightened (by self interest) ultra wealthy to ask to be taxed more.

However, putting money, in small and short-term measure, back into the system is tokenism and hides a chronic dysfunction.

The tussle between capital and labour in industrialised societies had produced a peace, even if incomplete with tense moments in negotiations over distribution of generated wealth.

Today, notwithstanding considerable collective productivity that has made humanity richer and technologically more advanced than ever, collective poverty is on the increase.

The ‘free’ market is working – in the interests of the rich and influential!

Oxfam’s recent aptly named report, Survival of the Richest, chronicles the gross and obscene concentration of wealth.

But this consequence is far more serious than just that a few have more at the expense of hundreds of millions who live in misery.

It has given rise to the phenomenon of idle capital whose principal aim remains how to retain its value and influential status.

That explains capital’s insistence on growth, in the case of developing societies, and re-growth, in the case of developed societies from destructive situations such as wars, environmental devastation and product obsolescence and renewal.

In the meantime citizens, especially those displaced or discarded by labour markets, have become more exploitable as consumers forced to pay excessively for essentials, not because they cost to produce but for profits.

 

 

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