Grazie alle rimesse degli emigranti, alla controversa Cassa del Mezzogiorno e alle provvidenze del dopo-terremoto, Guardia Perticara è stato rimesso a nuovo, negli ultimi anni si sono affacciate le trivelle della Total. Non c’è paragone tra le attuali condizioni di vita e le brutalità di settanta anni fa. Ma qual è il futuro riservato alla maggioranza dei comuni lucani?
di Mimmo Guaragna
La storia di una comunità può camminare nel tempo in una ciclicità permanente sempre uguale e monotona; in un determinato momento, molto spesso imprevisto, accade un evento che rompe gli eterni equilibri. A Guardia Perticara a metà degli anni Cinquanta è in costruzione una galleria dell’acquedotto dell’Agri, braccianti e contadini poveri vengono assunti come manovali, l’impresa che esegue i lavori, sfidando ogni pazienza, ritarda la corresponsione dei salari, il sindaco indossa anche gli abiti del sindacalista, i lavoratori vincono e il sistema feudale, che per secoli aveva governato i rapporti sociali, si sgretola perché i cafoni lottando si riscoprono cittadini di uno stato democratico.
Siamo nel 1956, dopo un inverno durissimo con le abbondanti nevicate che avevano isolato Guardia per un mese, in primavera si vota per il municipio, vince, con il simbolo della campana, la lista Comunità, capeggiata dall’infaticabile sindaco. Non si tratta di una lista civica; il Movimento Comunità è stato un piccolissimo partito, scomparso prematuramente, fondato da Adriano Olivetti; il suo programma era ispirato ai valori della democrazia e della partecipazione per un capitalismo dal volto umano; i tempi allora non erano maturi e forse non lo sono neanche oggi.
Com’era stato possibile che fossero giunte fino a Guardia le idee di Adriano Olivetti?
La frequentazione di Matera da parte di questo illuminato capitano di industria è risaputa, nella sua testa il villaggio contadino di La Martella sarebbe dovuto diventare una Ivrea nel cuore del Mezzogiorno. Le notizie su Guardia le abbiamo apprese da una ricerca condotta intorno al 1956 da Laura e Marcello Fabbri, due giovani che Olivetti aveva reclutato e inviato nello sperduto e sconosciuto paesino lucano probabilmente incuriosito dal battagliero sindaco.
L’attuale Amministrazione Comunale, se non lo ha già fatto, dovrebbe pubblicare e diffondere questo studio, perché una comunità non si improvvisa, essa si nutre della sua storia. Abbiamo accennato al feudalesimo: imperversava la malaria e la mortalità infantile, la maggioranza viveva in vere e proprie stalle, soltanto poche fortunate abitazioni disponevano dell’acqua corrente e del gabinetto.
Durante il giorno, per recarsi al lavoro, bisognava raggiungere i campi lontani e le bambine erano lasciate a casa ad accudire le sorelline e i fratellini più piccoli, un tozzo di pane non spegneva i morsi della loro fame. Le giovani popolane venivano introdotte nei letti dei rampolli appartenenti alle famiglie ricche lasciando uno strascico di figli illegittimi, si salvaguardava così la proprietà da trasmettere intera al primogenito, l’unico a cui era consentito prender moglie.
L’esperienza del lavoro all’acquedotto segnò l’eversione della feudalità dopo un secolo e mezzo che era passato Giuseppe Bonaparte. Fu possibile perché la lotta era stata affiancata e corroborata dalla cultura; era stato aperto un centro di lettura che appassionò soprattutto i giovani, Cristo si è fermato ad Eboli di Carlo Levi era il padrone di casa.
Lo studio cita tra le persone alfabetizzate un non meglio specificato grafologo, il quale dietro compenso scriveva lettere e compilava pratiche burocratiche. Questo personaggio è presentato come una curiosità. Simili figure le ritroveremo in tutti i nostri paesi, nel giro di pochi anni perfezioneranno la loro professione, si impossesseranno dei patronati sindacali stravolgendo i diritti in abusi e in pratiche clientelari, appropriandosi indebitamente di quanto sarebbe spettato alla povera gente. Nel frattempo i protagonisti delle lotte, seguiti dai giovani, alla spicciolata avevano preso la via dell’emigrazione, non c’era spazio per loro nel regime assistenzialistico e vessatorio che aveva strangolato il sogno degli Olivetti, degli Scotellaro, dei coniugi Leone, dei Tommaso Pedio.
Recentemente ho accompagnato alcuni amici del nord a visitare Guardia.
Grazie alle rimesse degli emigranti, alla controversa Cassa del Mezzogiorno e alle provvidenze del dopo-terremoto il paese è stato rimesso a nuovo, negli ultimi anni si sono affacciate le trivelle della Total.
Non c’è paragone tra le attuali condizioni di vita e le brutalità di settanta anni fa. Quale è il futuro riservato alla maggioranza dei comuni lucani? Al tempo del Movimento Comunità gli abitanti di Guardia erano 1653, oggi si sono ridotti a 519. Laura e Marcello Fabbri riportano le parole, oggi più che mai attuali, di un contadino: “questo paese è un pezzo di pane dimenticato nel forno”.
FONTE: Controsenso Basilicata, 4/6/22