Facciamoci aiutare in casa nostra… Per aiutarli a casa loro

Facciamoci aiutare in casa nostra…

Come conciliare le esigenze dei paesi ricchi, carenti di manodopera, con quelle dei paesi poveri con eccesso di offerta? In questo primo contributo, Odo Barsotti e Moreno Toigo propongono un modello che lega le politiche immigratorie e di integrazione con quelle di cooperazione e di sviluppo. 

 

Traendo spunto dagli articoli di Michele Bruni (Neodemos – Unione Europea: flussi migratori interni e fabbisogno strutturale di lavoro e Neodemos – Piano Mattei: drammatica ignoranza o propaganda elettorale?), si intende proporre un modello operativo capace di conciliare in modo sinergico l’offerta di lavoro carente nei paesi ricchi con quella eccessiva nei paesi poveri1, attraverso il collegamento delle politiche migratorie e di integrazione con quelle di cooperazione allo sviluppo. Per praticare questo modello occorre riferirsi nel paese di immigrazione a specifici ambiti territoriali di dimensioni contenute (una regione o meglio alcune aree subregionali e mercati locali del lavoro), individuare i gruppi prioritari di immigrati e, attraverso loro, le specifiche zone di provenienza nei paesi di origine sulle quali sviluppare progetti di cooperazione decentrata e partecipativa. Il modello proposto, che comporta di agire simultaneamente sui due fronti, con convinzione e tenacia, avremmo potuto condensarlo nel titolo “Facciamoci aiutare a casa nostra per aiutarli a casa loro”. Per economia di spazio, viene però svilupparlo in due “puntate”: la prima, questa, risponde alla prima parte del titolo “facciamoci aiutare a casa nostra” e termina con puntini di sospensione che rimandano alla seconda parte “per aiutarli a casa loro”. E quest’ultima parte è l’argomento della seconda puntata, ossia dell’articolo immediatamente successivo. Ma il racconto è unitario.

Per esempio, la Toscana

Consideriamo come ambito di riferimento la regione Toscana e proviamo a stimare il bilancio domanda-offerta di lavoro nel 2038, alla fine dei prossimi quindici anni.

Scontando il solo effetto demografico in assenza di migrazioni2, mantenendo cioè costanti i tassi di attività sperimentati nel 2023 (45% per la popolazione da 15 a 29 anni e 81% per quella da 30 a 64), l’offerta esplicita di lavoro residente3 scenderebbe alla fine dei prossimi 15 anni da 1.652.000 a 1.294.000 unità (ipotesi 1), segnando una diminuzione di 358 mila unità (-21,7%). Anche nell’ipotesi che, per effetto di un mix efficace di politiche attive del lavoro e di politiche socio-culturali, il tasso di attività della popolazione giovanile salisse al 55% e quello della popolazione adulta all’86%, nel 2038 l’offerta esplicita4 prodotta dalla popolazione residente, pari a 1.412.000 unità (ipotesi 2), rimarrebbe comunque inferiore a quella di 15 anni prima di 240 mila unità (-14,5%). E riuscirebbe a coprire solo il 90% della domanda esplicita, anche se questa rimanesse uguale a quella del 2023 (1.563 mila occupati, ipotesi 3). È più probabile però che la domanda si espanda. Se si suppone, per esempio, che gli occupati aumentino nel primo quinquennio di previsione allo stesso tasso (2,78%) sperimentato nei cinque anni precedenti al 2023 e che nei due quinquenni successivi il tasso salga al 5%, la domanda esplicita di lavoro arriverebbe a 1.767.000 unità (ipotesi 4).

Nello scenario più plausibile (Tab. 2, Ipotesi B), l’offerta di lavoro residente potrebbe soddisfare poco meno dell’80% della domanda; la parte restante (355 mila unità) dovrebbe essere coperta, in misura preponderante, da forza lavoro immigrata dall’estero.5

Queste tendenze accentueranno le difficoltà che le imprese toscane già ora stanno fronteggiando. Il Grafico 1 evidenzia, tra i tanti, un dato rilevato dall’indagine Excelsior di Unioncamere: la crescita nel corso degli ultimi 6 anni della percentuale di imprese che dichiarano di avere difficoltà ad assumere, passata dal 2017 al 2023 dal 22 al 46%. Le difficoltà di reperimento sono diventate sempre più di tipo quantitativo (mancanza di candidati) che qualitativo (mancanza di competenze).

Che fare: formazione e integrazione

A fronte di questo evidente fabbisogno di immigrati stranieri da parte del sistema economico-produttivo della regione Toscana a causa di una deficienza strutturale dell’offerta di lavoro autoctono, comune a molte altre regioni specialmente del Centro-Nord del paese, appare inevitabile il ricorso a crescenti flussi migratori. Cosa si può fare per evitare che la combinazione esplosiva di fattori di attrazione e di spinta determini, in assenza di politiche migratorie consapevoli e lungimiranti, squilibri, conflitti e sfruttamento?

Riprendendo la proposta contenuta nel citato articolo di Michele Bruni, occorre a nostro avviso promuovere e sviluppare una strategia che saldi la programmazione dei flussi, l’inserzione legale nel mercato del lavoro e l’integrazione dei migranti nella società di accoglienza con la cooperazione allo sviluppo, o meglio con progetti di cooperazione decentrata e partecipativa (su questo importante aspetto torneremo nel prossimo articolo).

In quest’ottica, le Istituzioni locali (Comuni e Regione) dovrebbero procedere a una mappatura, a livello dei singoli comuni e delle loro aggregazioni (associazioni intercomunali e mercati locali del lavoro), delle comunità immigrate presenti nel territorio regionale e all’acquisizione di informazioni sulle specifiche località di provenienza (comuni, regioni) dei paesi di provenienza. Potrebbero così disporre di un elenco degli ambiti territoriali del Sud del Mondo (casa loro), dal quale scegliere con quali avviare rapporti di partenariato e di cooperazione (da casa nostra, ma insieme con loro). Dovrebbe anche essere stilato, in stretta collaborazione con le associazioni imprenditoriali e di categoria della regione, un elenco dei profili professionali nei vari settori produttivi e nei vari mercati locali del lavoro, per i quali c’è carenza di offerta di lavoro autoctona, per organizzare le specifiche attività di formazione professionale.

Il processo di integrazione dei soggetti candidati alla emigrazione dalla specifica zona del paese scelto dovrebbe iniziare già prima della partenza con adeguati corsi per acquisire almeno le nozioni base della lingua italiana e corsi di formazione professionale per specifiche qualifiche da  da sviluppare poi nella zona della regione candidata alla immigrazione. Naturalmente i costi di queste attività dovrebbero essere sostenuti dal paese di immigrazione (dalle istituzioni pubbliche ma anche dagli imprenditori privati interessati e dalle associazioni di categoria) e essere integrati da finanziamenti per il “rimborso” dei costi di allevamento sostenuti in precedenza, da investire in progetti di scolarizzazione e di formazione della popolazione giovane, per accrescere il valore del capitale umano, risorsa fondamentale per favorire un percorso di crescita.

Il processo di integrazione della forza lavoro continuerebbe nel contesto sociale di arrivo e sarebbe fortemente facilitato per la presenza, data la modalità con cui il contesto è stato scelto, di numerosi immigrati del medesimo paese e spesso della medesima zona di emigrazione, che potrebbero fungere da mediatori socio-culturali. E l’inserimento legale e programmato della forza lavoro immigrata nei vari settori produttivi per le qualifiche professionali di cui c’è carenza di offerta autoctona, potrebbe gradualmente ridurre gli squilibri sui mercati locali del lavoro della regione.

Ci starebbero aiutando a casa nostra. Ma come possiamo aiutarli a casa loro? Di questo discuteremo nel prossimo articolo.

Note

1I due contributi di Michele Bruni sono stai pubblicati su Neodemos il 16 febbraio 2024 (Unione Europea, flussi migratori interni e fabbisogno strutturale di lavoro), e il successivo 20 febbraio (Piano Mattei: drammatica ignoranza o propaganda elettorale?). Per una stima della popolazione in età lavorativa (e quindi dell’offerta di lavoro) nel prossimo ventennio per alcune aree del mondo, cfr. G. Dalla Zuanna,  “Contare i lavoratori… perché i lavoratori contano!”, Neodemos, 8 marzo 2024.

2La popolazione in età attiva (15-64 anni) al 2038 è stata calcolata “invecchiando” di 15 anni la popolazione del 2023 in età 0-49 anni in base alle probabilità prospettiche di sopravvivenza calcolate sulla tavola di mortalità regionale del 2022.

3Rimane esclusa l’offerta di lavoro implicita: occupazione al nero, irregolare; disoccupazione implicita (lavoratori scoraggiati).

4Rimangono escluse due altre componenti della domanda di lavoro: la domanda implicita evasa (lavoro nero, irregolare) e la domanda inevasa.

5L’offerta extraregionale aggiuntiva netta di forza lavoro per movimenti pendolari e per migrazioni interne parrebbe, infatti, di scarsa entità.

 

FONTE: https://www.neodemos.info/2024/06/18/facciamoci-aiutare-in-casa-nostra/

 


 

Per aiutarli a casa loro

di

 

In questo secondo articolo, (IL PRIMO È QUI: Facciamoci aiutare in casa nostra… ) “Per aiutarli a casa loro”, Barsotti e Toigo disegnano un modello di relazioni tra aree di immigrazione e aree di provenienza capace di promuovere azioni di sostegno a progetti individuali e associativi degli immigrati che orientino le rimesse verso impieghi produttivi e di crescita del capitale sociale e umano.

La contaminazione tra i due ambienti, quello ospitante e quello di origine, che l’immigrato determina tessendo e sviluppando una rete di rapporti economici, sociali e culturali, dà forma e contenuto al suo spazio sociale. È in questo spazio che possono essere promosse azioni di sostegno a progetti individuali e associativi degli immigrati che orientino le rimesse verso impieghi produttivi e di crescita del capitale sociale e umano. E così mentre ci facciamo aiutare a casa nostra li aiutiamo a casa loro. In che modo è possibile raggiungere questo obiettivo?

Una proposta: la cooperazione decentrata

Già agli inizi degli anni novanta del secolo scorso, il bel testo “Le risorse umane del mediterraneo”, sempre attuale, curato da Massimo Livi Bacci e Fosca Martuzzi Veronesi, conteneva preziose e lungimiranti proposte per la programmazione di politiche che potessero gestire le conseguenze degli inevitabili squilibri tra le sponde sud e nord del Mediterraneo, in modo da attenuarne l’impatto politico e sociale, creando al tempo stesso le condizioni perché le politiche migratorie si saldassero a una strategia di cooperazione tra le due sponde, orientata allo sviluppo reciproco e alla democrazia1. Qualche anno dopo l’OCDE sosteneva la necessità di promuovere e sviluppare progetti di cooperazione decentrata e suggeriva come favorire la partecipazione a livello locale dei migranti2. Dal 2006, con il rapporto del Segretario Generale all’Assemblea Generale ONU3, è aumentata l’attenzione sul legame tra migrazioni e sviluppo e la consapevolezza che i flussi migratori, se ben gestiti, portano benefici economici e sociali per i paesi di origine e destinazione. È ormai riconosciuto dalle principali organizzazioni internazionali, Unione Europea (UE) inclusa, che è possibile ed auspicabile innescare processi di co-sviluppo a triplice vantaggio, triple win: dei migranti e dei due paesi collegati dalla loro presenza4.
È questa la prospettiva in cui si colloca la proposta operativa di cooperazione decentrata che di seguito suggeriamo5.
Le relazioni (catene migratorie) già esistenti tra i due contesti (casa nostra e casa loro), che gradualmente si intensificano per l’aggiunta dei nuovi venuti, creano condizioni propizie per avviare progetti di cooperazione decentrata e partecipativa che veda il migrante stesso come agente di sviluppo.
Egli sarebbe dunque considerato anche il fulcro di ipotesi progettuali di sviluppo nei luoghi che ha lasciato. Se lavora regolarmente e in maniera stabile, può risparmiare, inviare denaro alla famiglia e soprattutto può progettare il proprio futuro. Da sempre, le rimesse che egli invia costituiscono una risorsa fondamentale per i paesi in via di sviluppo, spesso superiore all’aiuto internazionale.

Solo considerando i canali ufficiali, nel 2023 gli immigrati in Toscana (a metà anno 2023 i cittadini stranieri residenti nella regione erano 422.521) hanno inviato verso i paesi di origine 673,1 milioni di euro (in media 1.593 euro per cittadino straniero residente). La cifra, per quanto consistente, sottostima la dimensione reale del fenomeno perché esclude le rimesse monetarie attraverso i canali informali, i beni inviati e quelli portati in occasione dei periodici rientri in patria6.

Tuttavia, tali ingenti flussi di denaro non sempre producono effetti positivi nei territori di origine, anzi, talvolta, incentivano la rendita improduttiva, i consumi voluttuari, l’inflazione e la speculazione edilizia. Coinvolgere i migranti in progetti di cooperazione decentrata può quindi diventare una strategia efficace per valorizzare il potenziale di sviluppo delle rimesse. La garanzia più efficace del successo di un progetto di cooperazione decentrata orientato a investimenti produttivi e in capitale umano è che il soggetto si impegni direttamente, finanziandolo in parte con il proprio risparmio e che ne sia il principale artefice e attore. Gli interventi “esterni”, dunque, devono non solo accordare dei finanziamenti integrativi ma soprattutto offrire dei servizi reali alle attività produttive o alla valorizzazione delle risorse umane, in termini di formazione professionale, manageriale e imprenditoriale, di tecnologie appropriate, di ricerche di mercato, di consulenze tecniche e giuridiche. Questi servizi potrebbero essere previsti nel quadro di accordi realizzati dalle Amministrazioni locali (Regioni, Governatorati, Province, Comuni) nelle località di origine e nelle località di accoglimento dei soggetti, utilizzando le relazioni già esistenti stabilite dagli stessi migranti, che rappresentano dei veri ponti tra le due società. Ed avvalersi della collaborazione e dell’impegno diretto, nelle varie fasi di attuazione del progetto, di ONG, imprese, Associazioni di categoria, strutture universitarie, Associazioni di immigrati. Queste ultime, in particolare, potrebbero sviluppare una azione di grande rilievo per trasformare una molteplicità di strategie individuali e familiari in una strategia di comunità per uno sviluppo partecipativo realmente conforme alle esigenze delle popolazioni.

Vale la pena precisare che la cooperazione decentrata non intende affatto contrapporsi alla più tradizionale cooperazione internazionale, che in genere riguarda progetti di grandi dimensioni, ma piuttosto integrarla con progetti numerosi di piccole e medie dimensioni. Nella figura 1 si propone uno schema che contiene i vari passaggi per realizzare un’ipotetica strategia locale di cooperazione decentrata e partecipativa.

Tra sogno e realtà

È facile rendersi conto che una “filosofia” di tale portata possa apparire utopica. Eppure, di fronte alla inevitabilità delle (im)migrazioni e al rischio di un’ulteriore dilatazione dei flussi irregolari, l’unica strategia realistica è proprio quella che, combinando politica di immigrazione e politica di cooperazione, tenda a rendere permeabili, e quindi conciliabili, le une e le altre culture.

Un sogno: questa filosofia è fatta propria dalla compagine governativa, dai Ministeri competenti, dalle Regioni, dalle Autonomie locali. È presa in considerazione dalla stessa UE. Si insinua nel piano Mattei. Fioriscono e si diffondono, con convinzione e tenacia, in contesti territoriali sempre più numerosi del nostro paese fenomeni di forte reciproca integrazione tra noi e loro (cittadini, non più estranei) e, in un sistema circolare positivo, si realizzano sempre più numerosi progetti di cooperazione decentrata e partecipativa in molte zone nei loro paesi. E contestualmente ora i nostri mercati locali del lavoro tendono a diventare in equilibrio, soffrono sempre meno di insufficienza di offerta. Certo è passato un po’ di tempo, ma quello che poteva sembrare solo uno slogan sta diventando realtà: “davvero ci aiutano a casa nostra e noi davvero li aiutiamo in casa loro”. Ma è soltanto un sogno?

Per saperne di più

Odo Barsotti e Moreno Toigo – Facciamoci aiutare in casa nostra… – Neodemos, Giugno 2024

Note

1Livi Bacci M. e Martuzzi Veronesi F. (a cura di), Le risorse umane del Mediterraneo. Popolazione e società al crocevia tra Nord e Sud, Il Mulino, Bologna, 1990.

2OCDE, Migration et développement, Paris, Centre de développement, 1994; OCDE, “Per une reconnaissance des migrants comme partenaires de la cooperation internationale”, Riunione di esperti tenuta al Centro di Sviluppo dell’OCDE, 26-27gennaio 1995.

3International Migration and Development (A/60/871), 18 maggio 2006, Rapporto del Segretario Generale all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite.

4Per una sintesi del dibattito su questo tema: Sergi N., Migrazioni e cooperazione internazionale per lo sviluppo. Analisi e spunti di riflessione, Ottobre 2014

5Una proposta che sostanzialmente riprende quella che avevamo già sviluppato nei primi anni duemila (cfr. Barsotti O. e Toigo M., “Le migrazioni e la cooperazione decentrata”, in Ianni V. (a cura di), Verso una nuova visione dell’aiuto, Società Tipografica Romana, Pomezia (Roma), 2004

6Nello stesso anno le rimesse da canali ufficiali verso i paesi di origine degli stranieri in Italia sono state di 8.178 milioni di euro (in media 1.565 euro per straniero residente, con 5.224.469 residenti di cittadinanza estera a metà del 2023). Da notare che nel 2023 tutte le maggiori regioni italiane che precedono nella graduatoria la Toscana (Lombardia, Lazio, Emilia-Romagna, Veneto) hanno registrato una crescita sostanzialmente nulla o negativa delle rimesse verso l’estero rispetto al 2022. La Toscana ha invece realizzato una crescita positiva dell’1,5%. – bancaditalia.it/statistiche/tematiche/rapporti-estero/index.html.

 

 

FONTE: https://www.neodemos.info/2024/06/21/per-aiutarli-a-casa-loro/