Voto all’estero: Intervista a Marco Grispigni (Filef N.E. Belgio), indipendente nelle liste di Liberi e Uguali Europa.

Abbiamo intervistato Marco Grispigni candidato al Senato, come indipendente, nella lista “Liberi e Uguali” con Pietro Grasso per la circoscrizione Europa.

Marco vive a Bruxelles dal 2000 e lavora alla Commissione europea. Fa parte della Filef Nuova Emigrazione Belgio e, dal 2015, è consigliere del Comites Bruxelles, Brabante e Fiandre, eletto con la lista “Comites è partecipazione”.

 

Perché ti candidi?

Ho scelto di candidarmi perché credo che in un momento difficile come questo in Italia e in Europa, con la crescita delle destre estreme e razziste, con la precarietà che diviene l’unico orizzonte per i giovani, con gli attacchi continui ai diritti e alle conquiste dei lavoratori, con il progressivo smantellamento dell’intero sistema del welfare, ci sia bisogno di ricostruire un’idea, una pratica, una presenza realmente di sinistra anche nelle istituzioni. Questa convinzione è ancora più forte dopo il barbaro atto terrorista, razzista e fascista di Macerata.

 

Quali punti dovrebbe portare nelle istituzioni un deputato o senatore eletto nei collegi esteri?

Noi italiani che viviamo in un altro paese siamo molti, ormai più di 5 milioni. Da quando è scoppiata la grave crisi economica, i flussi migratori sono tornati a essere molto significativi: ormai circa 300 mila persone all’anno abbandonano l’Italia (i dati reali ci confermano che sono di più le persone che lasciano il nostro paese che i cosiddetti “invasori” che provengono dall’Africa). Chi parte non sono solo “cervelli in fuga”, cioè giovani iperqualificati: sempre più numerose sono le famiglie intere e gli adulti che hanno perso il lavoro o non riescono più a vivere nell’angoscia di una perenne precarietà. Questa realtà dovrebbe essere rappresentata da chi viene eletto nei collegi esteri; quella di chi arriva in un nuovo paese per poter vivere una vita degna, di chi ha bisogno di recuperare rapidamente e facilmente tutta una serie di informazioni per potersi integrare. I nostri connazionali che lasciano l’Italia non sono certo tutti “ambasciatori del made in Italy”.

 

A tuo avviso i servizi consolari sono adatti a rispondere alle esigenze di questi nuovi ’emigranti’ o ‘espatriati’?

Purtroppo nella maggior parte dei casi la risposta è negativa. Non si tratta solo di un problema legato alla pesante riduzione nel numero dei consolati o della necessità di motivare il personale che da anni vive una situazione di blocco salariale e aumento del carico di lavoro. La questione fondamentale è quella di ripensare i servizi stessi alla luce delle caratteristiche della nuova ondata migratoria. Spesso i ‘nuovi’ emigranti non si stabiliscono in maniera definitiva nel nuovo paese; per lo meno nei primi anni il loro percorso migratorio è caratterizzato dalla mobilità. Contratti a termine e delocalizzazioni impongono la disponibilità a cambiare paese. In questo quadro è evidente che i servizi consolari non possono limitarsi all’attività necessaria di stato civile, ma devono divenire luoghi di riferimento dove sia possibile ottenere le informazioni necessarie per chi è appena arrivato in una nuova realtà. Lo stesso vale per l’Aire pensato e istituito per rispondere alle esigenze di un’emigrazione stabile. Ora la mobilità prevede percorsi differenti e la disponibilità di viaggi low cost rende meno drastico l’abbandono del proprio paese. In questo senso da anni il Cgie e gran parte dell’associazionismo domandano una riforma dell’Aire, con la creazione di una sorta di “Aire light” per i primi anni del percorso migratorio, con la quale, per esempio, non si perda il diritto all’assistenza sanitaria in Italia (una delle cose che maggiormente frena i nuovi migranti dall’iscriversi all’Aire).

 

Quali sono, a tuo avviso, i problemi più gravi che si trovano ad affrontare oggi i nostri connazionali all’estero?

Io credo che il problema più grave sia quello dell’esclusione sociale e della povertà. L’Europa si è affermata nella seconda metà del secolo scorso per la sua capacità di tenere insieme, pur tra mille contraddizioni e limiti, democrazia e welfare. Da anni il secondo elemento di questo binomio è sotto attacco. Questo produce esclusione e povertà, che può tradursi per i cittadini provenienti dall’estero addirittura in espulsioni: dal 2008 al 2016 sono 830 gli italiani che in Belgio hanno ricevuto “l’ordine di lasciare il territorio” (in totale sono stati oltre 12 mila i cittadini dell’Unione che hanno ricevuto il decreto di espulsione dal Belgio). La riduzione degli individui a puro parametro economico, per cui la povertà di una persona diviene un peso insostenibile per la società, è l’idea che si è affermata in questi anni e che ci ha condotto verso una società sempre più ingiusta, dove la forbice tra i pochi che possiedono molto e i tanti che hanno poco si è sempre più ampliata. Noi italiani all’estero siamo tutti migranti; generalmente siamo migranti economici come quelli che molti vorrebbero sistematicamente ricacciare indietro o lasciare affogare nel Mediterraneo. Siamo partiti per cercare fortuna o più semplicemente per vivere una vita degna. Ci siamo stabiliti in un altro paese europeo e rivendichiamo giustamente i nostri diritti. Per questo non possiamo che guardare come a dei fratelli e delle sorelle le migliaia di migranti che dalle sponde dell’Africa cercano di arrivare in Europa per una vita degna di essere vissuta. I loro diritti sono i nostri diritti; chi vive in un altro paese, come noi, non può che guardare con terrore e disprezzo coloro che gridano “prima gli italiani”, pensando a cosa potrebbe diventare la nostra vita se in Belgio, in Francia, in Inghilterra o in Germania si affermassero partiti simili.

 

Un’ultima domanda: potresti riassumere in tre sole parole la tua idea di Europa?

Accoglienza, solidarietà, reddito. Questo è quello che per me dovrebbe garantire l’Europa.

 

 

(Emi-News)

 

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Marco Grispigni

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