«È da quarant’anni che gli emigranti non partono più con la valigia di cartone, anche perché non le vendono più». Enrico Pugliese, sociologo del Cnr e autore del saggio “Quelli che se ne vanno” (Il Mulino), non sopporta i luoghi comuni. E quando si parla di nuova emigrazione italiana i luoghi comuni si sprecano perché servono a semplificare un fenomeno piuttosto complesso e difficile da quantificare in tutte le sue componenti.
Nel suo intervento alla scuola media Anna Frank di Varese, Pugliese è partito dal luogo comune più utilizzato dai media in tema di emigrazione, ovvero la fuga dei cervelli. «Se analizziamo l’emigrazione degli ultimi 15 anni – ha spiegato Pugliese ai tanti presenti – solo un terzo ha una laurea o un dottorato. Il restante 70 per cento è costituito da persone con media o bassa scolarizzazione. Non è certo una fuga di cervelli, ma di braccia. Si tratta per lo più di giovani nella fascia di età compresa tra i 18 e i 34 anni, seguono poi quelli con un’età compresa tra i 35 e i 49 anni».
La destinazione degli emigranti italiani non è cambiata molto in questi ultimi anni rispetto al passato. Germania, Inghilterra, Francia e Svizzera sono le mete europee più gettonate, mentre per chi decide di varcare l’oceano è l’Australia la prima destinazione scelta. C’è però una forte discrepanza tra le cifre sull’emigrazione fornite dall’Istat e quelle fornite dagli istituti dei Paesi di approdo. Per fare un esempio, secondo l’Istituto statistico italiano nel 2016 gli italiani emigrati in Germania nel 2016 sono stati 17.299 mentre secondo i dati dello Statistiches bundesamt sarebbero 74.105. «Posto che l’Istat è un prestigioso e affidabile istituto – ha spiegato il sociologo – la ragione sta nel fatto che vengono contate le cancellazioni anagrafiche nei comuni e non tutti quelli che partono la fanno, mentre in Germania appena arrivi per fare qualsiasi operazione, come aprire un conto in banca, devi essere iscritto ai registri dell’ufficio federale tedesco».
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Un aspetto interessante è che si parte più dalle regioni ricche che da quelle povere, in primis da Lombardia, Lazio e Veneto. Un flusso in uscita alimentato negli ultimi dieci anni dalla crisi economica che ha coinvolto soprattutto operai specializzati e tecnici anche se questo aspetto spiega solo in parte il primato lombardo. «C’è un ulteriore fenomeno che alimenta l’emigrazione dal nord Italia – ha aggiunto Pugliese – ed è l’emigrazione di rimbalzo. Molti di coloro che partono da Milano o Torino, dove risiedono ufficialmente, in realtà sono in una tappa del loro percorso migratorio, e spesso si tratta di studenti universitari che hanno finito il ciclo di studi. Si tratta di un assestamento con il passaggio attraverso più tappe prima di arrivare a quella definitiva».
Se c’è un aspetto che in passato non è stato mai preso in considerazione dagli studiosi è quello dell’emigrazione femminile. Sull’argomento è intervenuto Paolo Ruspini, presente tra il pubblico, docente universitario in Svizzera che da sempre si occupa delle dinamiche e tendenze delle migrazioni internazionali ed europee . «Oggi non è più così – ha detto Ruspini – perché nelle nuove migrazioni, secondo le statistiche Onu, c’è una rapida crescita della percentuale di donne che sono quasi il 50% dei migranti, di queste poco più della metà vive nei paesi sviluppati, mentre il resto vive in quelli in via di sviluppo».
«Nell’emigrazione del passato le donne erano sullo sfondo – ha concluso Pugliese – non si vedevano ed entravano in scena solo con il ricongiungimento famigliare. Insomma, erano ignorate dagli studiosi e l’unica eccezione era rappresentata dall‘emigrazione femminile in Svizzera dove le donne venivano ospitate nei conventi per essere impiegate nelle tessiture. Ora partono da sole, in autonomia, e la loro incidenza sul fenomeno è quasi del 45%».
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