Gli articoli di questo numero:
Fase 3, tempo di vacanze e di acrobazie di Sandra Cartacci
Andrà tutto male di Norma Mattarei
We have a dream now di Michela Rossetti
Chi tace acconsente di Concetta D’Arcangelo
Covid 19, l’impegno di Cuba e dei medici cubani di Enrico Turrini
Quarantena e riaperture: siamo veramente pronti ad uscire di nuovo? di Michela Romano
Dopo la pandemia. La sterpaglia di Silvia Di Natale
Educare alla libertà di Lorella Rotondi
L’influenza dell’architettura italiana a Mosca alla fine del Quattrocento di Sascha Resch
Marcella Continanza e quell’eredità, patrimonio di tutti noi di Sen. Laura Garavini
La storia è morta, viva la storia! di Miranda Alberti
Italia – Germania 50/50 di Massimo Dolce
Luisa Spagnoli di Valentina Fazio
Monaco sul tetto del mondo calcistico di Simone Cofferati
Il riso fa buon sangue di Sandra Galli
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Fase 3, tempo di vacanze e di acrobazie
L’editoriale di Sandra Cartacci
Da un continente all’altro, in tutto il mondo si contano più di dieci milioni di contagiati e più di mezzo milione di morti di Covid19. La crisi economica non risparmia nessuno, si apprende di istanze di fallimento, o di amministrazioni controllate, per marchi come Pizza Hut, Zara, H&M e perfino Cirque du
Soleil, il circo dei sogni e senza animali, che metteva d’accordo tutti e non faceva male a nessuno.
In Europa, tra alti e bassi, si vive la Fase 3, riapre quasi tutto, spuntano nuovi focolai, inizia il semestre di presidenza tedesca con un tris di donne
– Angela Merkel, Ursula Von der Layen e Cristine Lagarde – che paiono intenzionate a ricostruire un’Europa più solidale, più verde e più forte.
Mentre molti dissertano su come saremo dopo la pandemia, la situazione si è chiarita da tempo. Lo smantellamento e le privatizzazioni della sanità
hanno reso mortale un’emergenza che comunque non era una semplice influenza, ma che non sarebbe diventata l’ecatombe di cui siamo testimoni.
Dopo quasi cinque mesi di attenzione, in Germania si procede in ordine sparso, come si addice a uno Stato federale, e in Italia ci si mantiene in genere piuttosto prudenti, tra un decreto e l’altro del presidente del consiglio.
In Baviera il primo ministro Söder offre esami del sangue gratuiti a tutta la popolazione perché “non si deve risparmiare sulla sicurezza” e continua a
profilarsi a livello nazionale; in Italia Giuseppe Conte, nonostante le decisioni più impopolari che si sarebbero mai potute immaginare, arriva al 63% di
gradimento nei sondaggi. La paura rende conservatori, si diceva. Attualmente però i conservatori più convinti si mostrano tranquillamente senza
mascherina, partecipano a manifestazioni di piazza senza distanziamento e fanno selfie con chiunque, a un colpo di tosse di distanza, osannati dai loro
complottisti, rigorosamente scettici e inguaribilmente vittimisti.
La pandemia non è risolta, si è solo spostata un po’ più in là, almeno nella sua forma più pericolosa, ma ci scopriamo diversi, beviamo meno birra e più
vino, mangiamo meno carne, acquistiamo più prodotti regionali, cuciniamo meglio e di più. E ci preoccupiamo delle vacanze: in Germania perché ci si
vuole andare e in Italia perché si vorrebbero veder tornare frotte di turisti.
Ammesso che comunque giri un po’ di moneta, per tutti, per chi parte come per chi vuole investire. Il governo italiano ha stanziato cifre iperboliche per
famiglie, imprese e lavoratori, per risollevare il Paese che in Occidente ha dovuto affrontare per primo l’epidemia e oggi ricomincia a muoversi in una
realtà ancora incerta. In Germania i dati parevano meno allarmanti e la crisi più contenuta.
Adesso, oltre alla comparsa di nuovi focolai, si apprende che centinaia di migliaia di lavoratori stranieri, disoccupati a causa del coronavirus, hanno perso la cassa mutua e non possono più avvalersi dei diritti di assistenza a causa di una legge, voluta un anno fa dal ministro della sanità Jens Spahn, in base alla quale possono essere radiati dalla cassa malattia i lavoratori stagionali stranieri che non risultino occupati. Per un cavillo, rientrano nel novero anche i concittadini europei solitamente impegnati nella ristorazione.
La pandemia mette addosso uno stato d’ansia. Mesi di isolamento deresponsabilizzano, danno l’impressione di essere diventati estranei agli eventi,
spettatori passivi, confinati a casa in una bolla temporale in cui si reagisce alla paura con abitudini imposte dalla situazione. Quando si comincia a uscire da questa specie di vigile anestesia, i fatti e gli eventi appaiono come disegni sul muro, sembra di vivere un film, un fumetto.
Siamo tutti artisti del Cirque du Soleil e aspettiamo di ritrovare il nostro posto nella società, il nostro lavoro. Siamo disposti a tante acrobazie e, finché necessario, portiamo la mascherina su bocca e naso, ma almeno una sanità adeguata e la tessera sanitaria in tasca dobbiamo pretenderle. (Sandra Cartacci)
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Andrà tutto male
di Norma Mattarei
Non può andare tutto bene in un contesto in cui già prima del coronavirus tante cose andavano male. Anzi si potrebbe dire che l’attuale crisi evidenzia ancor più i limiti e le debolezze di questo sistema. Il problema sta nel fatto che dietro al funzionamento di questa società non c’è un concetto, un piano, un programma, ideati collettivamente nell’interesse generale, ma al contrario c’è un sistema basato sul profitto. Per questo si pensa e si agisce nell’immediato e secondo criteri di convenienza. Tutto il resto sarebbe un onere inutile.
Come si spiega infatti che un’azienda che costruisce aerei, già due settimane dopo l’inizio della crisi del corona, dichiari il fallimento e chieda aiuti allo
Stato? E non potrebbe invece lo Stato disporre che le imprese debbano destinare un fondo-emergenza per tali situazioni, come quella attuale, invece di intervenire ora e salvarle con il denaro pubblico? Ovviamente sarebbe possibile, ma in base a tutt’altre premesse, non certo in questo sistema.
La crisi economica che ci troviamo ad affrontare non è la conseguenza di Covid-19, ma caso mai l’accentuarsi di problemi e di squilibri già presenti prima. Lo stesso vale per anomalie sociali che ora raggiungono dimensioni eclatanti. Nessuno sa dire con certezza quale sia l’origine del virus, di sicuro tuttavia il suo sorgere e la sua diffusione sono stati agevolati dal modo di produrre e di distribuire tipici dell’economia di mercato. Altrettanto si può dire riguardo al modo in cui la crisi viene affrontata.
Non sappiamo cosa avrebbe provocato un virus micidiale in una società basata su altri principi, come per esempio quello della solidarietà invece che su quello della concorrenza, ma sappiamo cosa ha provocato in questa. Già dopo poche settimane di lockdown si parla di disastro economico, in un sistema che fino al giorno prima valeva come l’unico vincente della storia, anzi dopo la caduta del muro e la fine delle illusioni socialiste, la storia si sarebbe nientemeno che fermata (Fukuyama). Sembra quasi impossibile che quello che dovrebbe essere il migliore dei sistemi sia così vulnerabile.
Vediamolo con dei dati.
La crescita economica, quale base del funzionamento del capitalismo, si è ridotta in seguito a Covid19 e alle misure di sicurezza adottate dagli Stati colpiti, a dei minimi storici. In Italia le previsioni per il 2020 sono di un calo del PIL (prodotto interno lordo) del 9,1% e in Germania di un calo del 7,0%. Meno noto è il fatto che i dati del 2019, pur non essendo così drastici, erano comunque ben lontani dai tassi di crescita a cui aspirano gli Stati occidentali, ovvero
0,3 per l’Italia e 0,6% per la Germania.
I dati sulla mancata crescita si riflettono sull’occupazione, altro parametro per definire lo stato di un’economia nazionale. La Confindustria prevede per l’Italia la perdita di almeno un milione di posti di lavoro.
Altri dati sono ancora più negativi.
Anche le previsioni sul reddito, che diminuisce con il crescere della disoccupazione, sono preoccupanti. In un Paese ricco come la Germania, per esempio, 10 milioni di persone non possiedono nessuna riserva su cui far conto in caso di emergenza.
Questi dati corrispondono a quelli delle imprese. L’industria automobilistica, dalla quale dipendono milioni di posti di lavoro, è particolarmente colpita dalla crisi anche a causa delle persistenti difficoltà nei trasporti e nelle filiere produttive. La società di rating Moody’s ha dichiarato che le vendite di autoveicoli continueranno a calare con una contrazione che in Europa rischia di arrivare al 30%. La produzione dell’acciaio è a sua volta crollata e gli impianti sono fermi. La Confturismo stima per l’Italia 22 milioni di turisti in meno, con un danno economico complessivo di 2,7 miliardi.
Ricordiamo che in Italia l’industria turistica corrisponde al 12% del PIL. In Emilia Romagna, una delle regioni più colpite dal virus, si teme un calo del fatturato del turismo dell’80/90%. La produzione industriale in tutta Italia è diminuita del 42,5% rispetto allo scorso anno.
E in Germania la Lufthansa pensa di tagliare 26.000 posti di lavoro. A Monaco, in seguito alla chiusura dei ristoranti, un numero considerevole di Italiani prima occupati in gastronomia si ritrova per strada, molti di essi senza alcuna risorsa e senza prospettive.
Sono sempre i lavoratori che, in questa crisi come nelle altre, pagano i prezzi più alti, chi non perde subito il lavoro supplisce in questa fase con ferie, permessi forzati e stipendi ridotti. Il capitale coglie l’occasione per una sua ulteriore offensiva, come capiamo da questa affermazione di Carlo Bonomi, presidente di Confindustria: “Il governo e i lavoratori devono garantire la massima produttività delle imprese, puntando ad un abbassamento dei salari attraverso il superamento dei contratti nazionali”.
Anche nel resto del mondo le cose non vanno meglio. Negli Stati Uniti, centro del capitalismo mondiale, e insieme al Brasile con circa 100.000 vittime uno degli Stati più colpiti dal coronavirus, le imprese licenziano in massa. Già in marzo si sono registrate 25 milioni di nuove domande di sussidio. Le cifre sulla prevista disoccupazione sono esorbitanti e si aggirano alla lunga sui 40 milioni.
Anche qui sono i più deboli a pagare le spese della crisi. Gli Afroamericani sono i più colpiti dal virus anche a causa delle condizioni sociali in cui vivono e del fatto che non si possono permettere un’assistenza sanitaria effettiva e tanto meno spese mediche private. La virulenza delle proteste contro l’uccisione razzista di George Floyd da parte di un poliziotto si spiegano anche con il razzismo e l’esclusione sociale in cui vive da sempre questa fascia di popolazione.
In Brasile sono allo stesso modo gli emarginati ed esclusi dal sistema a subire gli effetti più gravi.
La popolazione indigena è esposta maggiormente al virus e doveva essere protetta in modo particolare dal contatto con altri gruppi etnici. Ma questa precauzione è stata osservata solo in parte dal presidente Bolsonaro e dalla sua politica razzista e reazionaria. Come gli Afroamericani, anche gli indigeni vivono in condizioni di grave disagio socioeconomico e sono finora colpiti, sia dalle infezioni che dai decessi, molto più del resto della popolazione, a tal punto che organizzazioni di difesa dei loro diritti parlano di genocidio.
Altro gruppo particolarmente esposto, indipendentemente dal luogo in cui si trovano, sono i rifugiati politici. A Monaco, nonostante le numerose proteste e le richieste delle organizzazioni umanitarie, i rifugiati politici vivono in condizioni di assoluto rischio, con vicinanza forzata, condivisione di stanze, cucine e servizi, scarsamente informati e per un periodo prolungato privati dell’assistenza sociale e del supporto dei volontari. Il Comune, che ha preso dei provvedimenti, ma evidentemente insufficienti, ha ammesso che in questo gruppo i contagi sono più alti che fra il resto della popolazione.
Negli Stati Uniti migliaia di rifugiati latinoamericani definiti illegali o irregolari con lo scoppio del coronavirus sono stati espulsi immediatamente, altri sono stati deportati dalla polizia messicana ad altre frontiere, dove molti di loro sono rimasti bloccati per giorni in strada, non potendo andare né avanti né indietro, in condizioni pericolose e disumane.
Per non parlare poi della situazione in Grecia. Altrettanto grave la situazione per i senzatetto che a causa della crisi non possono più accedere, anche in Europa, alle consuete fonti di sostentamento come la vendita di giornali di strada, elemosina, raccolta di vuoti e simili espedienti.
La vita per strada, l’insufficienza di misure igieniche, il fisico indebolito, li hanno inoltre esposti al virus più del resto della popolazione.
Altre categorie di persone vulnerabili, anche se non in modo così grave, sono donne sole con figli, famiglie numerose, single con lavori precari e studenti. Da un sondaggio dell’agenzia Zenjob il 40% degli studenti in Germania ha perso il lavoro. Molti di essi si sono già ritirati dall’università per poter chiedere il sussidio. Particolarmente colpiti dalla crisi sono gli studenti stranieri che dispongono di ancor meno risorse.
Oltre ai peggioramenti economici il coronavirus si è portato con sé molti effetti psicosociali. Tante donne si sono ritrovate da sole a dover accudire i figli ed accollarsi servizi che prima erano delegati fuori casa, come cucinare, occuparsi dei compiti, sostituire amicizie e altro. Mentre in Germania il 16% dei genitori ha lasciato temporaneamente il lavoro, fra le donne è il 24%. Le donne si sono ritrovate in ruoli tradizionali che si pensavano superati e secondo la sociologa Jutta Almendinger “È all’improvviso andato perso il progresso di 30 anni”. Inoltre in questi mesi di crisi è aumentata la violenza domiciliare contro le donne e anche contro i bambini.
In pratica tutti gli aspetti più critici e perversi sembrano venire a galla e far vedere con grande lucidità l’altro lato della medaglia della società borghese e dei suoi miti di rispetto, uguaglianza e democrazia.
Questa crisi evidenzia, come ha osservato un sociologo francese, la divisione in classi e le spaccature di questa società, in cui i più esposti sono i lavoratori che vengono mandati allo sbaraglio senza precauzioni, gli infermieri e i commessi, mentre chi esercita professioni più elevate può rifugiarsi con home-office nella propria casa.
La crisi ci conferma anche, che c’è sempre qualcuno che da ogni problema ne trae un qualche profitto, con la vendita di certi prodotti, o per esempio sfruttando la situazione e prendendo decisioni impopolari, come escludere da processi decisionali chi invece dovrebbe esserne coinvolto. Così ha fatto
un fornitore di energia nel nord della Germania, estromettendo le assemblee dei cittadini quando si trattava di imporre pratiche antiecologiche, o grandi società che hanno escluso dalle assemblee gli azionisti, fra cui gli azionisti critici, per far passare scelte asociali.
Un’altra ideologia che viene sfatata è quella che riguarda le sinergie del pubblico-privato, dietro alla quale si cela lo smantellamento sistematico della sanità pubblica, consistente in chiusura di ospedali, di strutture di prevenzione e dei medici di base, a favore della sanità privata che particolarmente in
Italia ha causato il disastro che abbiamo visto.
Altrettanto la regionalizzazione della sanità ha portato a sistemi diversi e in concorrenza con moltissimi disagi, e differenze nella qualità dei servizi. Ma anchecittà come Milano, centro più colpito da Covid-19, va forse rivista alla luce delle sue contraddizioni, come nota il giornale online Contropiano: “Piani scellerati di urbanizzazione, modello di cementificazione e consumo del suolo. Si disinveste totalmente nel trasporto pubblico o privatizzandolo o lasciandolo alla mal gestione e alle logiche clientelari dell’amministrazione privata.
Il prezzo lo pagano le fasce più deboli della popolazione con aria irrespirabile e costo della vita insostenibile. Oggi queste contraddizioni esplodono nella drammaticità della crisi sanitaria, sociale ed economica”.
E in Germania in piena pandemia si continua a parlare di chiusura di ospedali come niente fosse successo. Anche qui si vede quanto vale la vita delle persone. Risparmi, tagli e cattiva gestione stanno causando la morte di migliaia di persone che invece potevano essere salvate. Alcuni familiari delle vittime si sono costituiti parte civile e denunciano amministratori e politici per la loro irresponsabilità e incuria. C’è da sperare che la giustizia gli dia ragione.
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Covid 19, l’impegno di Cuba e dei medici cubani
di Enrico Turrini
Trovandomi qui a Cuba con la cara compagna della vita Gabriella nel periodo tra fine febbraio e metà maggio del 2020 in cui si è diffusa in quasi tutti i Paesi del mondo la gravissima malattia del Covid 19, dovuta al coronavirus, abbiamo potuto renderci conto concretamente della generosità dei cubani a livello politico e sociale, impegnati a dare il proprio contributo per ridurre i danni dovuti a questa triste realtà, e dell’impegno con competenza ed amore dei medici sia all’interno del Paese, sia partecipando a missioni mediche nei Paesi più colpiti dal Covid 19. Nonostante il blocco economico degli Stati Uniti contro Cuba e l’assurda decisione del governo statunitense di finanziare organizzazioni che tra vari impegni cerchino anche di ostacolare la collaborazione medica cubana.
Per poter approfondire quanto menzionato è utile esaminare come si sono sviluppate nel tempo queste realtà. Il 9 marzo sono arrivati a Cuba 4 turisti italiani e 3 di loro avevano difficoltà di respirazione. Sono stati esaminati e, dopo le analisi fatte, l’11 marzo è risultato che erano ammalati di Covid 19, i primi a Cuba. Sono stati curati con molta attenzione e dopo alcuni giorni si sono visti notevoli miglioramenti.
Per evitare la diffusione di questa malattia si è subito iniziato a produrre e distribuire a tutta la popolazione protezioni facciali che riducono il contagio e si è intensificata la produzione di ipoclorito di sodio in soluzione acquosa, distribuendolo nei posti più frequentati perché anche con questo si riduce la trasmissione della malattia. Il presidente della repubblica ha subito riunito i politici perché s’impegnassero a lavorare con la popolazione per diffondere i metodi di prevenzione di questa malattia. Si è inoltre iniziato a prendere tutte le misure possibili per controllare gli aerei e le navi in arrivo, cercando così di ridurre la diffusione del Covid 19. A metà marzo la società farmaceutica cubana Bio Cuba Farma ha deciso d’impegnarsi a produrre in quantità sempre maggiori il farmaco cubano Interferon Alfa 2B che dà risultati molto buoni sia per la prevenzione che per la cura di questa malattia.
A fine marzo sono arrivati a garantirne una produzione molto elevata, in modo da poter essere utilizzato non solo a Cuba, ma anche inviato a vari Paesi che lo necessitano. Nella seconda metà di marzo un gruppo di una cinquantina di medici ed infermieri cubani ha iniziato a dare il proprio contributo in Lombardia per curare i malati di Covid 19 e già nella prima metà di aprile uno ogni tre infermi risultava guarito.
Il 12 aprile è poi arrivato un altro gruppo in Piemonte. A metà maggio si stavano già impegnando in vari Paesi del mondo (anche in Sudafrica) 25 gruppi medici cubani. Un avvenimento interessante è il seguente: una nave inglese (MS Braemar) alla metà di marzo si trovava nelle acque oceaniche non lontane da Cuba e cercava di approdare rapidamente in un porto perché trasportava alcuni viaggiatori ammalati di Covid 19, ma vari Paesi della zona si erano rifiutati di permettere l’ingresso della nave nelle loro acque territoriali.
Cuba, conosciuta la situazione il 18 marzo, ha subito accolto gratuitamente la nave mostrando solo solidarietà, con la speranza di poter dare un aiuto a
persone in pericolo. I malati sono stati poi trasportati all’aeroporto per poter volare in Inghilterra ed essere curati rapidamente. Sentendo una grande gioia per questa dolcissima accoglienza i malati hanno mostrato un cartello con la scritta “Ti voglio bene Cuba, desidero un mondo con molte Cuba”. Il presidente della repubblica in vari incontri a fine marzo ha sottolineato che la paura non riduce il pericolo di ammalarsi di Covid 19, mentre la serenità, la solidarietà, la collaborazione e il mantenersi informati sono valori che aiutano a tener lontana la malattia. Ha inoltre appoggiato il progetto di coltivare in
tutto il Paese terre ancora incolte, in modo che possa migliorare la qualità della vita della popolazione e rendere l’isola più indipendente. È importante ricordare che Cuba esprime in maniera chiara la sua scelta: medici e non bombe. L’8 di aprile, il giorno mondiale della salute, a Cuba si è espressa la convinzione che la diffusione del Covid 19 nel mondo deve aiutarci a comprendere l’importanza di promuovere la salute pubblica con competenza e amore, senza pensare al guadagno e senza chiudersi in se stessi, ma dando il proprio contributo anche alle popolazioni di altri Paesi che lo necessitano.
Riferendosi a Cuba un giornalista scrisse che, mentre gli Stati Uniti s’impegnano per rendere più dure le sanzioni contro Cuba, i medici cubani sono anche disposti a mettere a rischio la loro vita per salvare persone gravemente ammalate. Con l’impegno dei medici cubani solo raramente è stato superato in tutta
Cuba un numero superiore a 2 o 3 morti al giorno per Covid 19 e nella prima metà di maggio vi sono stati giorni senza decessi. È interessante fare un confronto tra Italia e Cuba.
Fino al 10 di maggio i morti per Covid 19 in Italia sono stati circa 30 mila, a Cuba solo 80 persone. Considerando che la popolazione italiana supera di poco i 60 milioni e quella di Cuba supera di poco i 10 milioni (circa un sesto), se Cuba avesse gli abitanti dell’Italia, i morti sarebbero stati circa 480, una differenza considerevole.
Il comportamento di Cuba in questo momento particolarmente difficile ci può aiutare a comprendere l’importanza di tenersi lontani dalla ricerca del successo e del potere, impegnandosi invece con altruismo e vero amore ad essere vicini ed aiutare chi si trova in difficoltà, facendo tutto con assoluta gratuità: solo così sentiremo il cuoricino pieno di gioia.
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